lunedì 17 ottobre 2011

CAPITOLO VI - Una notte agitata

Malvin era solo, al cospetto di tre immense creature. Disarmato e paralizzato, poteva solo assistire alla truce avanzata di quelle macabre bestie. D'un tratto, una di esse sollevò la pesante mano con l'intento di schiacciare quel piccolo omuncolo...
Malvin si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Respirava come se gli mancasse un polmone, e la vista dava alcuni problemi. Dopo una decina di minuti realizzò che era solo un sogno, un terribile incubo. Pensava di essere abituato ormai a quegli incubi, ma questo in particolare gli era sembrato quasi vero: giurava a se stesso di aver sentito qualcosa di viscido sfiorargli il corpo. La notte incombeva cupa sul territorio circostante, e se di mattina il cielo era sgombro, ora a stento qualche fascio lunare riusciva a penetrare in dei consistenti e grigi nembi. Un venticello pungente si alzava dalla terra, portando con sè sabbia e qualche esile pianticella: d'improvviso l'ambiente circostante era totalmente cambiato, se prima era monotono ma tranquillo, ora si rivelava terribile e gelido. Con sommo stupore Malvin si accorse che le tende degli eroi erano vuote, ma realizzò che era sicuramente un sogno; d'altronde era impossibile, non l'avrebbero mai lasciato solo in mezzo al nulla. Dopo circa un'ora passata a cercare di risvegliarsi, Malvin cominciò a preoccuparsi.-Insomma, se è un sogno, perchè non mi sveglio? Non dovrebbe essere tanto difficile eppure...-Malvin si sedette e si osservò attorno; conosceva bene i suoi sogni, caratterizzati da luoghi quasi sempre uguali ma con una caratteristica comune: il non capire dove si trovava realmente e l'indefinibilità dell'ambiente circostante. La preoccupazione crebbe sempre di più in Malvin, ora convinto che non stesse sognando. Dapprima invocò aiuto, ma ciò che ottenne come risposta fu una forte ventata gelida sul viso e gli occhi rovinati dalla sabbia. Raccogliendo quelle poche forze che gli rimanevano, Malvin decise di andare in esplorazione,-Tanto, se resto qui rischio di fare la stessa fine dei miei compagni, mi conviene spostarmi-. Portando con se unicamente
la spada, Malvin si diresse nella direzione in cui Verulest li avrebbe condotti il giorno a venire. Dopo un centinaio di metri scorse finalmente qualcosa: in mezzo al nulla, vi era un pietra, piu che altro un monolito, con strane incisioni o dipinte o intagliate nella pietra stessa. Attorno a questo bianco masso la natura sembrava morta essiccata. Malvin non riusciva a capire se fosse reale oppure no, ma non capiva neppure perchè il giorno prima non ci aveva fatto caso. La silente pietra incuriosì Malvin a tal punto che questo decise di avvicinarsi il più possibile, con la spada sguainata. Man mano che si avvicinava, Malvin notò che pareva che si ingigantisse, e quelle arcane incisioni sembravano emanare fumo. Malvin non riusciva a togliere lo sguardo dall'ammaliante masso, e pian piano vi si avvicinava, allucinato. Un potente "track" fu il benvenuto per Malvin, che ormai stregato scese nell'apertura generata dalla pietra per ritrovarsi rinchiuso sotto terra. Ormai fuori dall'incantesimo, Malvin torno in sè e rovinò per terra scivolando su un ampia scalinata. Ciò che vide lo agghiacciò: tutti i suoi compagni erano supini per terra, ognuno con un colorito pallido e mortale. Malvin si chiese se anche lui avrebbe fatto la loro fine, ma sfortunatamente, svenne per la stanchezza. Prima di perdere totalmente i sensi, gli parve di sentire nuovamente il "track" precedente, ma non fece in tempo a vedere se qualcosa era entrato o uscito dalla fossa. Dopo qualche ora Malvin si riprese ma amaramente si accorse di trovarsi ancora in quella terribile buca. Nulla era cambiato, gli eroi erano tutti accasciati per terra, tuttavia sembravano ancora più pallidi e con un'espressione di morte dipinta sul viso. Una cosa risollevò Malvin: Verulest non era con loro. Agendo d'impulso, Malvin fece ciò che gli riusciva meglio, ovvero trovare una possibile via di fuga per sè e possibilmente per i suoi compagni. Tastando nell'ombra le lisce e terribilmente gelide pareti della fossa, con un crescendo di angoscia sperava di trovare una via di fuga, magari anche uno spiffero, qualunque cosa che lo riconducesse all'ambiente
esterno. Dopo una lunga ispezione realizzò due cose: la fossa era poco più grande di una ventina di metri per lato, ed era ermeticamente chiusa da qualsiasi parte. l monolito chiudeva perfettamente la buca impedendo una qualsiasi via d'uscita. Malvin brancolava nel buio, cercando ancora di trovare qualcosa di utile; agghiacciato, si ritrovò tra le mani un cranio umano completamente vuoto e privo di carne all'interno. Ormai non si stupiva più di nulla, e quel cranio di certo non contribuì ad accrescere la sua paura; era invece l'oscurità e il silenzio che lo incutevano maggiormente, tant'è che fu costretto a sedersi per la paura. Malvin aspettò per diverse ore, nel silenzio più totale.-Se non faccio la fine dei miei compagni, di certo perirò per pazzia...-. Il cupo pernsiero tormentava Malvin, più che mai convinto che quella sarebbe stata la sua fine.-Cosa diamine ci facciamo qui? Chi è che ci ha condotto fin qua? Giuro che gliela farò pagare!-; Mentre Malvin rimuginava ancora su quella cattura da parte di chissa chi, si rialzò da terra Teclion. Dapprima Malvin non capì chi si fosse alzato, ma quando scoprì che era Teclion, un barlume di speranza si riaccese in lui. Ratto si apprestò ad aiutarlo, sapeva infatti che non era previsto che si alzasse solo dopo una Luna, e perciò immaginava che fosse ancora privo di forze. Con stupore invece, Malvin ascoltò le parole di Teclion, il quale lo rassicurava e affermava di stare bene.- Sarai anche guarito, ma non sforzarti troppo... inoltre siamo chiusi qua dentro da diverse ore, probabilmente fuori è già mattina- disse Malvin. Teclion annuì, ma ignorando le parole di Malvin, riuscì a scaturire dal suo bastone una fiammella blu, fredda ma ustionanante allo stesso tempo. Malvin notò che il viso giovane di Teclion era ora colmato qua e là da qualche ruga indistinta, e gli stessi occhi parevano più stanchi. Come aveva notato la notte prima, Malvin rivide i suoi compagni
stesi per terra e apparentemente privi di vita e cominciò a chiedersi perchè lui e Teclion non erano state vittime dell'incantesimo della pietra. Cercò di giustificare Teclion col fatto che lui era un mago, ma ovviamente non era completamente certo. L'esile fiamma rischiarò le tenebre della fossa, illuminando l'intero spazio circostante. Qua e là c'erano cadaveri scarnificati, qualcuno ancora con delle armature indosso o con armamentari pregiati. Altri cadaveri parevano invece di bestiole e uccelli. Ciò che adesso iquietava Malvin era la presenza di schizzi di sangue ancora presenti sulle lisce pareti, e graffi in prossimità della roccia. Sembrava un'opera d'uomo, per la sua perfezione: completamente cubica, la fossa era intagliata nei minimi dettagli, ma Malvin dentro di sè sapeva che le arcane scritte sulle pareti non potevano essere opera d'uomo. Lui e Teclion parlarono per quasi un'ora, etrambi speravano che accadesse qualcosa, qualunque cosa ma niente. Teclion rivelò a Malvin che non sapeva assolutamente come ci era finito là dentro, i suoi ricordi terminavano alla notte di Treanor; Malvin invece disse di aver trovato la pietra in mezzo al nulla. Malvin si accorse parlando che Teclion aveva una personalità buona, mai arrogante, mai beffarda o sarcastica. Qualunque cosa gli dicesse Malvin, Teclion annuiva, accennava un sorriso o rispondeva secondo il suo parere. Tuttavia, Malvin notò che ogni volta che finivano sull'argomento "magia", Teclion badava bene a tenere la bocca serrata, per motivi solo a lui noti. Rivelò diverse cose a Malvin, come il fatto che essere maghi non era niente di particolare, ma una volta mago si sente il bisogno di aiutare il prossimo in qualunque modo. Disse anche che veniva da una famiglia normale, e per quanto ne sapeva non aveva parenti maghi. Essendo molto dotto, ammorbò Malvin con discorsi teorici molto interessanti, ma forse inappropriati per l'occasione. Un fatto in particolare stupì Malvin, ovvero che i maghi cominciarono
a nascere solo con l'arrivo degli umani nelle terre di Vendolin e si vociferava che il primo mago che istituì l'accademia di aure provenisse dalla terre oltre le Critosin. Stanchi della lunga permanenza nella fossa e della lunga chiacchierata, i due cercarono in tutti i modi di risvegliare i loro compagni, ma sembravano realmente morti. Cominciarono a capire perchè c'erano graffi sulle pareti: il prigioniero probabilmente accecato dalla pazzia aveva cercato in tutti i modi una via di fuga e non riuscendoci si sarebbe suicidato. L'assenza di Verulest tuttavia rincuorò anche Teclion, che si fidava ciecamente delle abilità del Ramingo, e confidava in un suo repentino aiuto. Purtroppo, non fu cosi semplice: le ore scivolavano come olio per terra, e i minuti scorrevano lenti e pesanti. D'un tratto ci fu un rauco ululato, secondo Malvin non di natura animale ne tantomeno umana. L'ululato cresceva, sempre più forte e intenso, troppo assordante per orecchie umane. Con immensa gioia, Malvin e Teclion videro il masso spostarsi rapido con "track" lasciando entrare della luce lunare. Teclion spense la fiammella e si diresse con Malvin verso l'uscita; all'entrata della fossa intravidero una figura indistinta, curva su se stessa e dagli occhi accesi: Verulest era finalmente tornato.- Non ho tempo per parlare, prendete gli altri e portateli fuori, subito! Non posso tenere aperto ancora per molto. La possente pietra resisteva pian piano ai borbottii del Ramingo, e silente avanzava sopra l'apertura. Malvin e il mago si diressero prontamente a scortare fuori i propri compagni, tuttavia l'avanzata fu molto lenta, poichè i corpi pesavano molto. Verulest sudava freddo, dando ogni tanto segni di cedimento, ma determinato nel modo più assoluto a confinare la pietra. Con grande fortuna i due riuscirono a scortare fuori anche Yitar e Somerun, e Malvin riuscì anche a prendere qua e là qualche coltello, e degli eleganti cappucci. Una volta fuori i due si accorsero che l'ululato di dolore proveniva dal masso stesso, il quale disperatamente cercava di riposizionarsi sul buco. Quando Verulest vide che la compagnia era finalmente fuori dalla mortale tomba, smise di parlare facendo chiudere di scatto il monolito. Il terrore era finito. Malvin ancora scosso, era colmo di gioia e provava
un'immensa gratitudine per il Ramingo. Teclion invece era accasciato per terra, privo di sensi. Senza troppe parole, Verulest si diresse verso Teclion dando le spalle a Malvin, e ricominciò a borbottare qualcosa: da ciò che capì Malvin, sembrava che per vendicarsi l'arcana pietra avesse lanciato su l'ultimo uscito dalla fossa una specie di "fiacchezza" mortale, un sortilegio malvagio. Le pesanti nubi erano ora sparite, e l'allegra Luna poteva risplendere con le stelle. Quella fredda brezza terrena sembrava essere sparita del tutto, e la temperatura era divenuta più sopportabile. Erano come la notte precedente in mezzo al nulla, ma salvi e con Verulest.

NOTA: Questo è solo un abbozzo del cap. VI. E' un capitolo che devo rivedere, l'ho scritto ad agosto ma mi sembra troppo ispirato alla concezione di Tumulilande di Tolkien.

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